lunedì 14 febbraio 2011

Il ruolo "trainante" di Lucio Fontana a Milano: spazialismo, nuclearismo ed altro ancora. Muovendo dalle sfide lanciate personalmente da quest'artista e dai due manifesti a sua firma, si tenti di descrivere per sommi capi lo scenario milanese, i fatti che più lo caratterizzano nel corso degli anni Cinquanta. Fatti, nomi e opere.

Partito dall’Italia per la nativa Argentina, all’inizio della guerra mondiale, Fontana è in questo momento, in qualità di ispiratore del Manifesto blanco, sottoscritto dai suoi allievi dell’accademia Altamira, l’autore che più esplicitamente fa riferimento al Futurismo come chiave per un’arte che trascenda i limiti storici, concettuali prima ancora che tecnici, dell’idea di opera. Rientrato in Italia nel marzo del 1947, l’artista riprende in prima persona il filo delle riflessioni maturate con gli allievi argentini, e peraltro già enunciate nella produzione che lo aveva visto aderente non ortodosso al gruppo astrattista del Milione, nel decennio precendente. Fontana mira a un’arte basata su forti componenti irrazionali, che si concretizzi grazie al ricorso a flussi lineari liberi, derivati dall’automatismo surrealista. D’altro canto, la suggestione dell’arte barocca e di quella futurista lo inducono a considerare l’opera come una trasformazione radicale dello sapzio sensibile d’esperienza, così da provocare nello spettatore un’esperienza estetica da vivere non nel momento separato e rituale dell’arte, ma come porzione propria, del flusso vitale. Prova di tale concezione è L’ambiente spaziale con forme spaziali e illuminazione a luce nera, realizzato nel 1949 alla galleria del Naviglio a Milano. Alla IX Triennale di Milano, presenta Disegno di luce, in cui un lunghissimo tubo al neon traccia libere volute nello spazio; in quella stessa occasione presenta la relazione Noi continuiamo l’evoluzione del mezzo nell’arte, poi divenuta celebre come Manifesto tecnico, in cui l’artista sostiene: “ l’esistenza, la natura, la materia sono una perfetta unità e si sviluppano nel tempo e nello spazio. Nel frattempo prendono a nascere, su carte e tele i primi “buchi”, superfici forate in modo variamente regolare, così che l’immagine non scaturisca da segni concretamente tracciati, ma da pure variazioni di spazio e di luce. Fontana definisce queste, come tutte le opere a venire, Concetto spaziale, sottolineando così il primato del dato mentale, di intuizione intellettuale e di fantasia, rispetto all’opera in quanto oggetto concretamente formato.” Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere..tutti hanno creduto che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto, è li la cosa”: così l’artista motiva, al di là dell’indubbio effetto di scandalo che queste opere producono nel pubblico e in seno al dibattito italiano, una nozione assai precisa, e davvero rivoluzionaria, dell’artificio artistico. Fontana dopo una breve tangenza con Corrente subito prima della partenza per l’Argentina, ha aderito di buon grado, ma sempre da una posizione autonoma, alle attività del MAC. La radicalità delle sue operazioni si segnala, in quel momento, non solo dal punto di vista tecnico come un estremo sperimentale sconosciuto ai compagni di strada ufficiali, ma anche e soprattutto perché imposta la questione dell’arte, della sua pratica e , più ancora, delle sue ragioni, in un modo totalmente estraneo ai termini delle discussioni correnti. La sintassi neocubista, come quella concretista o neorealista, non trascendono in ogni caso dalla concezione che il mondo sensibile, percepibile ai nostri sensi, sia il dato primario a cui riferirsi, vuoi per trascriverlo, vuoi per contrapporvi la concretizzazione di pure figure mentali. Fontana intende, dal canto suo, che tutto ciò muove da un’ ottica assai limitata. Esiste una realtà, perfettamente vera, che trascende i nostri sensi, e che la fisica contemporanea, la filosofia, l’astronomia, in una parola le discipline di frontiera della conoscenza, vanno via via delineando: l’universo come continuo pluridimensionale, ove le misure ordinarie di spazio, tempo e dimensione non hanno luogo. È questa l’idea di realtà che deve lievitare entro la creazione artistica, la quale può farsene portatrice attraverso una radicale rivoluzione dei propri scopi, prima ancora che dei propri mezzi. Nel manifesto Spaziali, Fontana sostiene che le risorse della tecnica moderna potranno mettere l’arte nella condizione di realizzare eventi adeguati alla nuova concezione di spazio/tempo che la concezione scientifica va indicando. Nel secondo manifesto datato 1949, si legge che: “ è impossibile che l’uomo della tela, dal bronzo, dal gesso, dalla plastilina non passi alla pura immagine aerea, universale, sospesa, come fu impossibile che dalla grafite non passasse alla tela, al bronzo, al gesso, alla plastilina, senza per nulla negare la validità eterna delle immagini create attraverso grafite, bronzo, tela, gesso, plastilina”. La posizione non è dunque la negazione polemica del passato, ma è la sue evoluzione, dettata dall’evolversi della conoscenza dell’uomo, e che non esclude, peraltro, che alla pittura si continui a poter fare ricorso, come lo stesso Fontana dimostra. Il 2 aprile 1950, un altro manifesto : Proposta di un regolamento del movimento spaziale , segna l’aggregarsi di fianco alla figura di Fontana, di un gruppo di giovani intellettuali, tra cui:Milena Milani, Giampiero Giani, Beniamino Joppolo, Roberto Crippa, Carlo Cardazzo. In questa prima fase, il movimento spaziale appare più come un progetto organizzativo che come una vera e propria corrente artistica; è solo il 26 novembre 1951, in occasione del quarto manifesto che si articola il primo gruppo di artisti (Anton Giulio, Ambrosini, Giancarlo Carozzi, Roberto Crippa,Mario Deluigi, Gianni Dova, Lucio Fontana, Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Vinicio Vianello). L’attività espositiva degli spaziali, che si svolge estendendo e restringendo a seconda delle occasioni la lista dei partecipanti, non si rivela particolarmente significativa, tuttavia si riveleranno alcune personalità qualitativamente notevoli (Roberto Crippa,Gianni Dova).
Nel corso degli stessi mesi a Milano va delineandosi un’altra vicenda, che nasce sulle premesse indicate da Fontana. Nel novembre del 1951 si tiene al Centro San Fedele la mostra Pittura Nucleare di Enrico Baj e Sergio Dangelo. Il lavoro dei due artisti, risente dal punto di vista del motivo espressivo, delle suggestioni che l’incubo della guerra nucleare ha scatenato nella coscienza collettiva. Da quello formale esso riprende e grafie irrazionali, le deflagrazioni dell’immagine in macchia irregolare e complessivamente il peso di nuovi corpi carichi di energia, luci che sanno di neon, surreali arabeschi di colore incandescente e colante, che sembra disintegrarsi anziché obbedire alla stesura delle solite e talvolta amorose mani dell’uomo. Tale reazione costituisce la testimonianza dell’esperienza atomica nei suoi riflessi sul mondo sensibile, con riferimenti evidenti all’idea di spazialismo promossa da Fontana; anche se tuttavia risulta più esplicito il loro riferimento alla tradizione surrealista della figurazione deformata. Legati a un’ ottica di proselitismo, i nucleri cooptano tra le proprie file altri artisti, come Joe Colombo, Ettore Sottsass jr.,Leonardo Mariani,Enzo Preda, Antonio Tullier, Max Rusca, Pino Serpi, Giuseppe Allosia, Mario Colucci e fino al 1954 tengono mostre in raggruppamenti variabili, prolungando anche in questo caso l’eredità surrealista. Dal punto di vista dei risultati si tratta,di prove assai acerbe, che solo nella seconda metà del decennio, quando la stessa compagine evolverà con precocissimo istinto di superamento delle declinazioni prevalenti dell’informale, darà prove cospicui nei suoi esponenti maggiori.

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